Background Image
Table of Contents Table of Contents
Previous Page  13 / 84 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 13 / 84 Next Page
Page Background

13

n.20 novembre 2015

affrontato e a cui si sono adattati.

Ai tropici vi saranno quindi impatti

maggiori sull’agricoltura e sugli

ecosistemi. Anche l’innalzamento

del livello del mare, l’intensità dei

cicloni tropicali, l’aridità del suolo e

la siccità avranno effetti maggiori

nelle regioni dei paesi in via di

sviluppo situati nelle aree tropicali

e subtropicali. D’altro canto, se si

prendono in esame altri fattori, per

esempio l’innalzamento dei mari,

le regioni più colpite dal punto di

vista economico potrebbero essere

quelle settentrionali dell’Europa

Centrale, il Sud Est Asiatico e

l’Asia Meridionale.

Accanto a questi fenomeni,

l’acidificazione degli oceani e

dei mari dovuta all’aumento

di CO

2

immagazzinata nelle

acque, insieme all’aumento

della temperatura delle acque

e agli eventi estremi avranno

conseguenze drammatiche per

500 milioni di persone la cui vita

dipende da questi ecosistemi.

Anche se è difficile dire quante

persone sono forzate a spostarsi a

causa del cambiamento climatico,

l’Internal Displacement Monitoring

Agency ha calcolato che oggi le

persone hanno il 60% in più di

probabilità di dover abbandonare

la propria casa di quanto non ne

avessero nel 1975. Dal 2008 al

2014, oltre 157 milioni di persone

sono state costrette a spostarsi

per eventi meteorologici estremi.

In alcuni casi, come evidenziato

dall’International Organitation for

Migration, le persone più povere

potrebbero non avere i mezzi

per emigrare e questo dimostra

che l’assenza di movimenti

migratori non significa che non

ci sono impatti del cambiamento

climatico. D’altra parte il fatto di

spostarsi alla ricerca di luoghi

che offrono maggiori risorse

per la sopravvivenza non è

necessariamente il segno del

fallimento della capacità di

adattarsi ma l’unico modo per

far fronte ai problemi posti dai

cambiamenti climatici.

Risorse a rischio

Gli scenari ipotizzati nell’ultimo

rapporto dell’Ipcc prevedono

che, se nei prossimi 50 anni si

raggiungessero e superassero i

2°C di aumento della temperatura,

il conseguente innalzamento del

livello dei mari provocherebbe

conseguenze catastrofiche,

soprattutto se associato

all’intensificarsi di fenomeni

meteorologici estremi come i tifoni.

Con un aumento delle temperature

di 4 °C, sarebbero a rischio il

Mediterraneo, il Nord Africa e il

Medio Oriente, ma anche i paesi

dell’America Latina e i Caraibi.

Un riscaldamento superiore

ai 2°C aggraverebbe in modo

significativo anche la scarsità

d’acqua già esistente in molte

regioni, in particolare in Africa

settentrionale e orientale, in Medio

Oriente e in Asia meridionale ma

la minore disponibilità di acqua

riguarderebbe anche molte

regioni degli altri continenti. Di

contro, si prevede un aumento

della piovosità nelle aree più

settentrionali delle latitudini

settentrionali. Se l’aumento della

temperatura globale rispetto

all’era preindustriale dovesse

raggiungere i 4°C, gli ecosistemi

terrestri potrebbero subire una

fase di transizione verso uno

stato ancora ignoto all’umanità.

Allo stesso tempo ci sarebbe una

drastica riduzione di quei ‘servizi’

ecosistemici che oggi rendono

‘gratuitamente‘ possibile la vita a

miliardi di persone e sui quali le

condizioni climatiche hanno una

enorme influenza: ad esempio

l’approvvigionamento di cibo,

acqua potabile, la regolazione

del clima e delle maree, la

depurazione dell’acqua, il ciclo dei

nutrienti, la formazione del suolo e

così via.

È facile immaginare come la

scarsità delle risorse avrà effetto

sulla vita di intere popolazioni che

per soddisfare i bisogni elementari

andranno incontro ad enormi

difficoltà, specie se alla mancanza

dei beni primari e alla gravità dei

fenomeni meteorologici estremi si

assoceranno conflitti per il controllo

delle risorse, aumento della

violenza e disgregazione sociale.

Ci sono inoltre altre variabili

che possono ad amplificare gli

effetti dei cambiamenti climatici:

cementificazione, pratiche agricole

che riducono la capacità del

suolo di assorbire l’acqua, il ‘land

grabbing’ e pongono le premesse

per migrazioni forzate.

Quale rapporto tra cambiamenti

climatici e migrazioni?

Alcuni studi dimostrano che

quando le persone sono forzate

a spostarsi a causa degli impatti

dei cambiamenti climatici, tendono

a muoversi all’interno del loro

Paese. Inoltre nel caso di disastri

improvvisi come alluvioni e tifoni,

lo spostamento avviene su brevi

distanze necessarie a raggiungere

il posto sicuro più vicino e, di solito

ritornano non appena inizia la

ricostruzione.

Quando invece gli impatti dovuti

a cambiamenti climatici si

manifestano lentamente, come nel

caso dei periodi di siccità, mano

mano che i mezzi di sussistenza

vengono erosi, le persone tendono

a spostarsi all’interno del proprio

Paese verso i centri urbani dove

c’è la possibilità di trovare un altro

lavoro. In generale più che l’intera

famiglia si spostano uno o due

individui alla volta.

In alcuni casi, il manifestarsi

di entrambi i tipi di avversità

climatiche, può generare

movimenti attraverso i confini

internazionali. Tuttavia, questo

di solito avviene quando diversi

altri fenomeni entrano in gioco.

Le migrazioni attraverso i confini

avvengono con maggior probabilità

quando un disastro dovuto

al clima, si combina con altri

fattori politici come i conflitti o le

persecuzioni.

L’ultimo rapporto dell’Internal

Displacement Monitoring Centre

afferma che nel 2012 32,4 milioni

di persone nel mondo sono state

costrette a migrare a causa di

disastri naturali e di queste, il 98%

si è trovato senza casa proprio

per circostanze legate al clima.

In Africa alluvioni, siccità e altri

eventi meteorologici estremi hanno

causato la migrazione di 8,2 milioni

di persone, più del quadruplo

della media dei quattro anni

precedenti. Secondo l’International

Organization of Migration nei

prossimi 40 anni il numero dei

cosiddetti ‘profughi climatici’, o

‘rifugiati climatici’ potrebbe variare

tra 25 milioni e un miliardo.

Risulta quindi evidente che,

se gli effetti del cambiamento

climatico riguardano tutti, però,

essi impattano maggiormente sui

paesi più poveri e sulle popolazioni

più vulnerabili. È necessario

quindi agire subito e assicurare un

approccio equo nei futuri accordi

sul clima, che aiuti i Paesi e le

popolazioni povere a raggiungere

un benessere non fondato sui

combustibili fossili e a diventare

maggiormente resilienti verso gli

impatti inevitabili del cambiamento

climatici.