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n.20 novembre 2015
affrontato e a cui si sono adattati.
Ai tropici vi saranno quindi impatti
maggiori sull’agricoltura e sugli
ecosistemi. Anche l’innalzamento
del livello del mare, l’intensità dei
cicloni tropicali, l’aridità del suolo e
la siccità avranno effetti maggiori
nelle regioni dei paesi in via di
sviluppo situati nelle aree tropicali
e subtropicali. D’altro canto, se si
prendono in esame altri fattori, per
esempio l’innalzamento dei mari,
le regioni più colpite dal punto di
vista economico potrebbero essere
quelle settentrionali dell’Europa
Centrale, il Sud Est Asiatico e
l’Asia Meridionale.
Accanto a questi fenomeni,
l’acidificazione degli oceani e
dei mari dovuta all’aumento
di CO
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immagazzinata nelle
acque, insieme all’aumento
della temperatura delle acque
e agli eventi estremi avranno
conseguenze drammatiche per
500 milioni di persone la cui vita
dipende da questi ecosistemi.
Anche se è difficile dire quante
persone sono forzate a spostarsi a
causa del cambiamento climatico,
l’Internal Displacement Monitoring
Agency ha calcolato che oggi le
persone hanno il 60% in più di
probabilità di dover abbandonare
la propria casa di quanto non ne
avessero nel 1975. Dal 2008 al
2014, oltre 157 milioni di persone
sono state costrette a spostarsi
per eventi meteorologici estremi.
In alcuni casi, come evidenziato
dall’International Organitation for
Migration, le persone più povere
potrebbero non avere i mezzi
per emigrare e questo dimostra
che l’assenza di movimenti
migratori non significa che non
ci sono impatti del cambiamento
climatico. D’altra parte il fatto di
spostarsi alla ricerca di luoghi
che offrono maggiori risorse
per la sopravvivenza non è
necessariamente il segno del
fallimento della capacità di
adattarsi ma l’unico modo per
far fronte ai problemi posti dai
cambiamenti climatici.
Risorse a rischio
Gli scenari ipotizzati nell’ultimo
rapporto dell’Ipcc prevedono
che, se nei prossimi 50 anni si
raggiungessero e superassero i
2°C di aumento della temperatura,
il conseguente innalzamento del
livello dei mari provocherebbe
conseguenze catastrofiche,
soprattutto se associato
all’intensificarsi di fenomeni
meteorologici estremi come i tifoni.
Con un aumento delle temperature
di 4 °C, sarebbero a rischio il
Mediterraneo, il Nord Africa e il
Medio Oriente, ma anche i paesi
dell’America Latina e i Caraibi.
Un riscaldamento superiore
ai 2°C aggraverebbe in modo
significativo anche la scarsità
d’acqua già esistente in molte
regioni, in particolare in Africa
settentrionale e orientale, in Medio
Oriente e in Asia meridionale ma
la minore disponibilità di acqua
riguarderebbe anche molte
regioni degli altri continenti. Di
contro, si prevede un aumento
della piovosità nelle aree più
settentrionali delle latitudini
settentrionali. Se l’aumento della
temperatura globale rispetto
all’era preindustriale dovesse
raggiungere i 4°C, gli ecosistemi
terrestri potrebbero subire una
fase di transizione verso uno
stato ancora ignoto all’umanità.
Allo stesso tempo ci sarebbe una
drastica riduzione di quei ‘servizi’
ecosistemici che oggi rendono
‘gratuitamente‘ possibile la vita a
miliardi di persone e sui quali le
condizioni climatiche hanno una
enorme influenza: ad esempio
l’approvvigionamento di cibo,
acqua potabile, la regolazione
del clima e delle maree, la
depurazione dell’acqua, il ciclo dei
nutrienti, la formazione del suolo e
così via.
È facile immaginare come la
scarsità delle risorse avrà effetto
sulla vita di intere popolazioni che
per soddisfare i bisogni elementari
andranno incontro ad enormi
difficoltà, specie se alla mancanza
dei beni primari e alla gravità dei
fenomeni meteorologici estremi si
assoceranno conflitti per il controllo
delle risorse, aumento della
violenza e disgregazione sociale.
Ci sono inoltre altre variabili
che possono ad amplificare gli
effetti dei cambiamenti climatici:
cementificazione, pratiche agricole
che riducono la capacità del
suolo di assorbire l’acqua, il ‘land
grabbing’ e pongono le premesse
per migrazioni forzate.
Quale rapporto tra cambiamenti
climatici e migrazioni?
Alcuni studi dimostrano che
quando le persone sono forzate
a spostarsi a causa degli impatti
dei cambiamenti climatici, tendono
a muoversi all’interno del loro
Paese. Inoltre nel caso di disastri
improvvisi come alluvioni e tifoni,
lo spostamento avviene su brevi
distanze necessarie a raggiungere
il posto sicuro più vicino e, di solito
ritornano non appena inizia la
ricostruzione.
Quando invece gli impatti dovuti
a cambiamenti climatici si
manifestano lentamente, come nel
caso dei periodi di siccità, mano
mano che i mezzi di sussistenza
vengono erosi, le persone tendono
a spostarsi all’interno del proprio
Paese verso i centri urbani dove
c’è la possibilità di trovare un altro
lavoro. In generale più che l’intera
famiglia si spostano uno o due
individui alla volta.
In alcuni casi, il manifestarsi
di entrambi i tipi di avversità
climatiche, può generare
movimenti attraverso i confini
internazionali. Tuttavia, questo
di solito avviene quando diversi
altri fenomeni entrano in gioco.
Le migrazioni attraverso i confini
avvengono con maggior probabilità
quando un disastro dovuto
al clima, si combina con altri
fattori politici come i conflitti o le
persecuzioni.
L’ultimo rapporto dell’Internal
Displacement Monitoring Centre
afferma che nel 2012 32,4 milioni
di persone nel mondo sono state
costrette a migrare a causa di
disastri naturali e di queste, il 98%
si è trovato senza casa proprio
per circostanze legate al clima.
In Africa alluvioni, siccità e altri
eventi meteorologici estremi hanno
causato la migrazione di 8,2 milioni
di persone, più del quadruplo
della media dei quattro anni
precedenti. Secondo l’International
Organization of Migration nei
prossimi 40 anni il numero dei
cosiddetti ‘profughi climatici’, o
‘rifugiati climatici’ potrebbe variare
tra 25 milioni e un miliardo.
Risulta quindi evidente che,
se gli effetti del cambiamento
climatico riguardano tutti, però,
essi impattano maggiormente sui
paesi più poveri e sulle popolazioni
più vulnerabili. È necessario
quindi agire subito e assicurare un
approccio equo nei futuri accordi
sul clima, che aiuti i Paesi e le
popolazioni povere a raggiungere
un benessere non fondato sui
combustibili fossili e a diventare
maggiormente resilienti verso gli
impatti inevitabili del cambiamento
climatici.