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alle Chlamydiaceae patogene

e costituiscono otto ulteriori

famiglie appartenenti al phylum

Chlamydiae: le Parachlamydiaceae,

le Simkaniaceae, le Waddliaceae,

le Rhabdoclamydiaceae,

le Criblamydiaceae, le

Clavochlamydiaceae, le

Piscichlamydiaceae e le

Parilichlamydiaceae. Mentre le

clamidie patogene sono un gruppo

filogeneticamente omogeneo, il

genoma delle clamidie ambientali

risulta essere più diversificato [3].

Il ciclo vitale delle Chlamydiae

(Figura 1) consiste in una forma

infettiva chiamata corpo elementare

(EB) che, dopo essere entrato

all’interno dell’ospite, si differenzia in

un corpo reticolato (RB) più grande

e metabolicamente attivo. Dopo

che l’RB si è diviso diverse volte

per scissione binaria, si ritrasforma,

attraverso un processo di

differenziamento secondario, nella

forma infettiva EB, che lascia l’ospite

tramite esocitosi o lisi e può iniziare

così un nuovo ciclo d’infezione [4].

Gli EB in passato erano considerati

metabolicamente inattivi, oggi

si sono scoperti avere capacità

metaboliche limitate [5]. Gli RB sono

morfologicamente simili tra tutti i

membri delle Clamydiae, mentre gli

EB variano in modo significativo in

termini di dimensioni e forma.

I sistemi acquatici sono un

potenziale habitat per le clamidie

ambientali [6]. Recentemente

le clamidie ambientali sono

risultate abbondanti nella colonna

d’acqua di un lago marino

costiero dell’Italia centrale ad alto

impatto antropico [7]. Inoltre, dati

molecolari hanno suggerito una

diversità ancora maggiore delle

clamidie nell’ambiente marino [8],

ma tuttavia, tale diversità rimane

sottostimata ed i loro ospiti naturali

sono, in molti casi, sconosciuti.

Il ruolo delle amebe a vita libera,

come reservoir di clamidie, può

essere importante in quanto le

amebe possono colonizzare con

successo i sistemi idrici artificiali,

come torri di raffreddamento,

umidificatori, reti di acqua potabile

ospedaliere o sistemi di distribuzione

dell’acqua. Questo diventa molto

importante dal momento che studi

recenti suggeriscono che alcune

clamidie ambientali possono essere

potenziali patogeni per l’uomo

essendo associate con problemi

respiratori [9], come ad esempio

Simkania negevensis e Waddlia

chondrophila, presenti nelle amebe

e nelle cellule di mammiferi, ed

associate a malattie nell’uomo [10].

Tuttavia l’impatto delle clamidie

ambientali sulla salute è ancora

in discussione. Si rende quindi

necessario approfondire lo studio

della diversità e della distribuzione

delle clamidie ambientali ma anche

chiarirne il ruolo come potenziali

patogeni emergenti ed il possibile

impatto sulla salute umana,

A caccia di Clamidie

Il gruppo di Ecologia Microbica dell’Istituto di Ricerca sulle Acque

(Irsa-CNR) sta portando avanti analisi di campo e studi di laboratorio

per meglio comprendere la dinamica delle clamidie ambientali in

ambienti costieri. Nell’ambito del progetto Ritmare (La Ricerca

Italiana per il Mare) ed in collaborazione con importanti istituzioni

internazionali (MPI di Brema - Germania e Università di Vienna

- Austria). Ritmare è uno dei Progetti Bandiera del Programma

Nazionale della Ricerca finanziato dal Ministero dell’Università e della

Ricerca. È coordinato dal CNR e riunisce in uno sforzo integrato la

comunità scientifica italiana coinvolta in attività di ricerca su temi

marini e marittimi, oltre ad una significativa rappresentanza degli

operatori privati del settore

(www.ritmare.it). N

ell’ambito del terzo

sotto-progetto (SP3 - Fascia Costiera), il secondo gruppo di lavoro

(WP2 - Funzionalità degli ambienti Costieri) si occupa dello studio dei

principali processi ambientali che determinano il funzionamento degli

ecosistemi costieri, per ottenere un avanzamento delle conoscenze

sulla loro dinamica spazio-temporale e per fornire strumenti e strategie

innovative per la Gestione Integrata della Zona Costiera (Iczm).

Nell’ambito della seconda azione (AZ2) che si occupa di valutare la

risposta degli organismi marini e delle comunità alle situazioni di

stress indotto dagli impatti, l’Unità Operativa 05 (SP3-WP2-AZ2-UO05)

si occupa di studiare la distribuzione di clamidie ambientali in aree ad

alto impatto antropico. Questo studio, oltre a fornire importanti risultati

sulla distribuzione delle clamidie ambientali in rapporto ad un diverso

livello di impatto antropico, ha come obiettivo quello di contribuire

ad ampliare la conoscenza sulla biodiversità di questi batteri in

habitat acquatici. I risultati, inoltre, avranno importanti implicazioni

da un punto di vista ecologico e sanitario perché potranno servire da

modello per comprendere il ruolo dell’interazione protisti-procarioti

nella dispersione e sopravvivenza di patogeni in ambienti costieri.

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n. 20 novembre 2015