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n.20 novembre 2015
EDITORIALE
EDITORIALE
L
a gestione ambientale ha completato un ventennio
in cui i sistemi di gestione si sono affermati come uno
strumento importante per garantire alle imprese sia il
mantenimento della conformità alla corposa normativa
ambientale, sia il miglioramento delle prestazioni.
Nel frattempo il panorama si è arricchito di standard e
strumenti: alla ISO 14001 si sono affiancate la 18001, la
50001, la 26000, la 20021 (per la gestione degli eventi),
nell’ambito delle certificazioni di prodotto vi è stata una
vera e propria proliferazione con centinaia di marchi
nazionali e settoriali, oltre alla recente affermazione delle
impronte ambientali.
In questo articolato quadro le imprese stanno cercando
di trovare la strada per ottimizzare il loro posizionamento
strategico. La 14001, come è già avvenuto per la 9001,
rischiava di diventare una commodity poco in grado di
differenziare chi la adottava e così nella nuova versione
vi sono una serie di novità importanti (dall’analisi di
contesto, al risk management, all’enfasi sull’integrazione
nel business e sulla leadership del top management, al
tema della comunicazione sinora trascurato dall’ISO).
I sistemi di reporting e rendicontazione hanno anch’essi
avuto un’ampia diffusione e con il GRI-4 si cerca di
focalizzarne l’utilizzo, attraverso una forte valorizzazione
dell’analisi di materialità.
Nell’ambito delle footprint la PEF europea sta
affermandosi anche a discapito dell’EPD, mentre si sono
fortemente consolidati diversi marchi settoriali (come
l’FSC o la Pefc).
L’Emas e l’Ecolabel sono alla ricerca di una nuova
identità in un’Europa che continua a guidare
l’innovazione negli strumenti volontari.
Il tema vero comunque aldilà degli strumenti riguarda
l’effettiva integrazione della gestione ambientale (e più in
generale della sostenibilità) nella gestione delle strategie
dell’impresa. Il green management è ormai percepito
come un elemento chiave della competitività da parte
di molte imprese: è connesso ai processi innovativi, al
posizionamento nei mercati e nelle filiere internazionali,
all’efficienza nell’uso delle risorse.
Ciò però spesso non basta perché entri a pieno titolo
nella stanza dei bottoni, assumendo un ruolo chiave
nella identificazione e perseguimento delle modifiche dei
modelli di business.
Alcune imprese che stanno perseguendo questa
integrazione, grazie alla consapevolezza dei loro vertici,
utilizzano il complesso di strumenti della certificazione
all’interno di una visione strategica propria che li
reinterpreta e finalizza: per queste non vi è alcun rischio
di omologazione, la speranza è che abbiano un grande
successo nel mercato e nella società e guidino quella
che può essere considerata la seconda fase di sviluppo
dell’environmental management.
I cittadini questo lo stanno chiedendo a gran voce. Molto
interessante è una recente indagine di Eurobarometer
che per la prima volta ha messo in evidenza come coloro
che devono spingere le imprese ad un comportamento
più sostenibile non sono solamente le istituzioni
(scivolate addirittura al terzo posto in questo momento
di scarsa credibilità), ma i cittadini stessi attraverso le
loro scelte di acquisto e i manager, attraverso le loro
decisioni nella gestione d’impresa.
Pare insomma che una componente chiave per uscire
dalla crisi (economica, ambientale, sociale), più
competitivi di come siamo entrati, sia legata alla gestione
più sostenibile delle imprese e dei loro prodotti/servizi.
I prossimi anni saranno particolarmente importanti al
proposito.
Marco Frey
Environmental
Management
Cosa cambia sul piano normativo
e nelle strategie delle imprese
EDITORIALE