Speciale
SPS
complessivo al PIL da parte della cloud possa superare i 940
miliardi di euro. Naturalmente a tutto ciò si deve aggiungere
la crescita dell’occupazione con 3,8 milioni di nuovi posti
di lavoro sempre nel 2020. Questo numero non tiene conto
dei posti di lavoro persi o degli eventuali lavoratori esodati
proprio a causa delle riorganizzazioni dovute alla cloud. Il dato
è comunque eclatante. È vero che è difficile avere certezze
così avanti nel tempo ma è plausibile che tutto ciò si verifichi
anche se le cose non avvengono da sole. Forse occorre anche
sviluppare il mercato dei servizi cloud, che è sì fortemente in
ascesa in Europa ma rimane ancora dietro agli Stati Uniti. Il
punto a favore è che i servizi cloud offrono un ampio spettro
di benefici sia agli utilizzatori sia alla crescita economica;
ad esempio consentono elasticità di investimento, agilità,
time-to-market e di evitare costi in conto capitale. La cloud
è ancor più importante per i cittadini dell’Europa, alla ricerca
di un miglior livello di vita e come consumatori alla ricerca
di migliori prodotti e servizi. Purtroppo non mancano i
punti a sfavore e la percezione è che rimangano barriere
che ostacolano la cloud. In generale esse concernono una
giurisdizione non chiara, i noti problemi di localizzazione,
sicurezza complessiva e protezione dei dati, l’incerta fiducia
nei fornitori, la mancanza di garanzie di accesso ai dati
personali, la portabilità fra sistemi. La percezione di questi
ostacoli è soggettiva e varia nei settori di business e nei
gruppi di consumatori. Occorre fare qualcosa e l’Unione
Europea con i programmi della propria Agenda Digitale non
sottovaluta questi aspetti che precludono lo sviluppo a breve
e futuro della cloud. Anzi desidera rimuovere tutti gli ostacoli
e chiede aiuto in termini di feedback e raccomandazioni a
tutti gli stakeholder della cloud, dalle aziende utilizzatrici alle
associazioni dei consumatori. Anche cioNET italia è stata
coinvolta più di un anno fa in questo esercizio di raccolta di
input da mettere a fattor comune per la stesura di policy più
adeguate e puntuali. Perché i CIO? Soprattutto perché sono
manager abituati a instaurare best practice di governance
nelle realtà complesse in cui operano, sicuramente perché
esposti in prima persona alle necessità del business delle
loro aziende, certamente anche perché hanno fatto la loro
parte anzitutto sposando l’idea di uno sviluppo policy-driven
della cloud in Europa. Chiarire e armonizzare le regole della
giurisdizione dei dati, fornire suggerimenti sulle linee guida,
identificare e rimuovere leggi e regolamenti che limitano l’uso
dei servizi cloud è una prima faccia dello stesso problema.
L’altra concerne la costruzione di una migliore fiducia del
mercato, stabilire principi sulle responsabilità dei provider,
sui contratti e gli SLA (Service Level Agreement), creare criteri
e marchi di qualità che certifichino i fornitori soprattutto in
merito ai propri sistemi di protezione e sicurezza dei dati e
alla loro idoneità a servire il mercato. I CIO italiani auspicano
la creazione di un ecosistema cloud proattivo, promosso dalla
Commissione Europea che a sua volta dovrebbe monitorare le
questioni transfrontaliere e i problemi di lock in, promuovere
la standardizzazione e l’interoperabilità, proteggere meglio
i diritti dei consumatori circa i loro dati personali e il loro
diritto a essere dimenticati, indipendentemente dalla loro
nazionalità. In altre parole creare le condizioni di reali
economie di scala in tutta l’UE e i presupposti per il libero
commercio dei servizi cloud.
Nota - L’articolo è tratto da Nextvalue Insighs ‘Cloud
Computing in Italia. What’s next?’