APRILE 2013
associandolo alla parola ‘cloud’. Dal momento che non vi può
essere cloud computing senza il fondamentale apporto di
infrastrutture di rete broadband ad alta velocità, il rischio è che
l’adozione del cloud ne rimanga penalizzata proprio perché è
ampiamente scaduto il tempo del ‘cominciare a fare’ legato
alla broadband italiana e ai piani per gli sviluppi NGN. E se per
uscire dalla crisi è necessario fare una volta per tutte il salto
nel digitale, sempre secondo quanto riportato dalla ricerca,
esiste il bisogno di puntare su servizi innovativi proprio perché
“interventi che apportano pochi cambiamenti non servono”.
Cloud e mobile, poi, si fonderanno: del resto molti progetti
di cloud sono originati dalla necessità di accedere da mobile
alle applicazioni enterprise. Nel mondo consumer siamo già
di fronte alla definitiva rottura tra strumento e applicazioni: i
gadget tecnologici infatti assumono rilevanza non in quanto
tali ma per l’ecosistema a cui appartengono. Siano ioS di
Apple o Android di Google, attorno ad essi ruotano nuovi
dispositivi di comunicazione, dai tablet al frigorifero, alla casa
intelligente. E ad avvantaggiarsi di questa evoluzione sono
i fornitori che producono i diversi prodotti della consumer
electronics, ma anche le società specializzate nello sviluppo
e integrazione di Apps con l’uso di sensori intelligenti capaci
di fornire un maggiore controllo sulla realtà che ci circonda: la
casa, l’auto, perfino il nostro corpo. Molte delle applicazioni
sono ancora allo stadio di prototipi, ma sempre più corredate
da un’offerta di servizi. Secondo la consumer Electronic
Association (cea) l’industria dell’high-tech deve fare i conti con
un nuovo scenario nel quale gli smartphone vengono usati
soprattutto per le funzioni ‘non-comunicative’ e divengono
‘il telecomando della nostra vita digitale’. Chiarissimo il
riferimento allo spostamento del focus, dall’hardware a favore
delle Apps e l’impennata contestuale della domanda globale
di nuove Apps. In parallelo la crescente ‘sensorizzazione’
(Mems) degli strumenti in combinazione con la cloud dà un
impulso notevole all’Internet delle Cose. L’utilizzo sempre più
comune di soluzioni a infrarossi, di Near Field Communication
(NFC) e di altre tecnologie wireless è ormai entrato nell’uso
comune e nella nostra vita quotidiana ma è anche la grande
prospettiva di sviluppo per le imprese e di impennata
nell’utilizzo di servizi di cloud computing. L’altra grande
prospettiva che fa leva sui servizi della cloud è quella dei
Big Data il cui apporto potenziale alle capacità di intelligence
delle imprese è enorme e spiega come quest’area emergente
porti con sé aspettative smisurate e naturalmente molte
promozioni pubblicitarie. La categoria dei social content, i dati
non strutturati creati, editati e pubblicati sui blog aziendali
e sulle piattaforme social media sono già oggi la categoria
di Big Data che cresce più rapidamente. Soprattutto ora che
la prima ondata di adozione della cloud si sta esaurendo,
occorre essere realistici sulle aspettative di costi. La gran
parte dei feedback forniti dai CIO (chief information officer)
raccontano di una cloud non sempre a buon mercato, ma che
assicura il ROI (Return on investments) migliore. In ogni caso
è opportuno profilare accuratamente i costi e monitorare le
risorse in uso anche attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti
messi a disposizione dalla cloud stessa. La corretta gestione
dei costi guida quindi la scelta del servizio, le negoziazioni con
i provider e il suo deployment anche negli anni futuri. Meglio
essere preparati ai nuovi modelli di valutazione e alle possibili
obiezioni da parte dei CFO (chief financial officer) quando ci si
avventura nella nuvola. Ragioni di costo ma anche di sicurezza
e opportunità cambieranno le strategie delle imprese riguardo
alla cloud privata che dovrà diventare sempre più ‘virtuale’,
ovvero far gestire i vari aspetti di sicurezza e compliance al
di fuori dell’azienda, mantenendone l’utilizzo esclusivo e non
condiviso come servizio pubblico. Nascono
le Community Cloud appositamente costruite
per servire specifici mercati verticali, come
la sanità, la finanza, la vendita al dettaglio,
la produzione, ecc., ovvero quelle comunità
di business che hanno esigenze di sicurezza
specifica, processi e requisiti di conformità
a specifiche normative. Fino a un anno fa, il
rischio della sicurezza e dell’integrità dei dati
si ergeva a posto di blocco dell’adozione della
cloud aziendale; oggi sono relativamente più
importanti la carenza di standard e i problemi di
conformità. Secondo GoogleTrends, la ricerca
della frase ‘standard di cloud computing’ ha
avuto un incremento verso la fine del 2012, a
dimostrazione che gli standard sono in primo
piano nella mente dei decisori, nella speranza
che vi sia un ‘cessate il fuoco’ nella guerra
della standardizzazione delle API (Application
Programming Interface). La buona notizia è
la nascita dell’Application Management cloud
Platforms (cAMP) lo scorso settembre, una APi
di gestione di Platform as a Service creata da
un gruppo di sette fornitori di servizi.Tuttavia le
linee di demarcazione non sono ancora così precise tra le APi
degli Amazon Web Services (AWS), lo standard emergente e
le sue alternative che fanno capo a fornitori come openStack.
Dal momento che molte aziende devono ancora scegliere
da che lato stare, gli standard del cloud computing saranno
probabilmente una questione controversa in tutto il 2013. Si
aggrava anche la carenza di talenti: la squadra IT non è più
solo composta da amministratori di sistema, amministratori
di database, gestori di reti e sviluppatori di applicazioni, ma
comprende anche i manager di erogazione dei servizi, i gestori
dei contratti, i relationship manager, gli analisti di business,
ecc. La disponibilità di talenti costituirà un forte elemento di
differenziazione, importante per l’innovazione dell’impresa e
del sistema Paese. A complicare le cose il fatto che l’incontro
con la cloud avviene in tutte le dimensioni del business e
l’eventuale indisponibilità di competenze ITmoltiplica il rischio
dell’IT ombra, ovvero che a decidere gli approvvigionamenti
siano le unità di business e gli stessi consumatori. Si va
intensificando un consolidamento della ancora fragile e
frammentata industry della cloud e ciò potrebbe causare
anche qualche ostacolo in più al movimento di adozione. In
Italia il fenomeno è del tutto marginale e riguarda al momento
entità di system integration che hanno visto la luce grazie e
soprattutto al cloud computing.
L’ECONOMIA DELLA CLOUD
Sempre secondo quanto riportato nella ricerca di Nextvalue
oltre la metà dei consumatori e delle imprese europee
utilizzano qualche forma di servizio cloud anche se la piena
adesione al modello cloud è spesso ancora lontana e
talvolta ostacolata da strettoie e barriere. La diffusione del
cloud computing genera sostanziali impatti diretti e indiretti
sulla crescita dell’economia e sull’occupazione ed è quindi
importante favorire con politiche adeguate la migrazione
verso il nuovo paradigma, che nel caso delle imprese porta
innovazione e produttività. Ma il problema è stimare i risultati
reali e come sempre accade, ciascun analista produce i propri
numeri. In un recentissimo studio dedicato all’argomento
IDC prevede che in presenza di politiche volte a eliminare gli
ostacoli, la spesa per servizi di cloud pubblica in Europa possa
toccare gli 80 miliardi di euro entro il 2020 e che il contributo
Speciale
SPS
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Fonte: freerangestock.com
Fonte: www.sxc.hu