PRO_455

progettare 455 • giugno / luglio 2023 41 persone, con un ritardo di comunicazione di circa 25 millisecondi e utilizzando una comune fibra ottica. Parliamo di questo affascinante progetto con Daniele Pucci, responsabile Artificial and Mechanical In- telligence, Istituto Italiano di Tecnologia, che ci racconta come nasce e si sviluppa il robot umanoide più diffuso nel mondo e quali sono le aspettative nei vari ambiti, compreso quello industriale. “Il robot umanoide iCub ha una storiamoltomolto lunga - spiega - e bisogna tornare al 2005 quando Giulio Sandini, Founding Direc- tor at the Italian Institute of Technology and full professor of bioengineering at the University of Genoa, David Vernon e Giorgio Metta, Scientific Director of the Istituto Italiano diTecnologia (IIT), coordi- narono il progetto RoboCub, e nacque la prima versione presentata nel 2009 con l’obiettivo di creare una piattaforma, un robot umanoide che potesse imparare interagendo con l’ambiente circostante. Il grande sforzo di Giorgio Metta fu quello di renderla la piattaforma umanoide più diffusa al mondo per quanto riguarda la ricerca sui sistemi cognitivi, un robot per fare della ricerca, non solo per inge- gneri ma anche per altri ricercatori, per esempio neuroscienziati che studiavano i modelli cognitivi del comportamento umano e per validare questi modelli li testavano sul robot umanoide che asso- migliava a un bambino”. Le applicazioni Oggi lo sforzo principale dei ricercatori è quello di far evolvere il robot uma- noide verso delle applicazioni concrete: non più un robot bambino ma un robot, se vogliamo, adolescente, per essere funzionale in determinate applicazioni. Questa crescita del robot implica anche una crescita del corpo del robot stesso, e in questo momento gli obiettivi vanno verso tre direzioni specifiche che stanno trainando lo sviluppo del robot umanoi- de iCub. Una di queste è l’applicazione Avatar. “Questa direzione ha trainato la validazione del robot umanoide iCub 3, di 20 cm più alto di iCub, ed è stato otti- mizzato per camminare e per interagire con l’ambiente. La sfida impegnativa è stata quella di validare il sistema Avatar su questo robot umanoide in un’appli- cazione reale”, spiega Pucci. Che cos’è il sistema Avatar? E qual è il suo obiet- tivo? “L’obiettivo è quello di creare un surrogato dell’essere umano, quindi se l’essere umano si trova in un posto A, e il robot umanoide in un posto B, ecco che se l’uomo muove un braccio il robot deve muovere un braccio; se muove le dita o cammina, il robot deve muovere le dita e deve camminare; analogamente se il robot percepisce qualcosa deve tra- sportare i suoi sensi sul posto remoto, in varie possibili applicazioni - continua -. Tra queste, è fondamentale il cosiddetto disaccoppiamento del rischio tra scenario pericoloso ed essere umano. In tal modo si potrà evitare di mandare l’uomo nella zona pericolosa ma al suo posto vi sarà il robot che, agendo come un Avatar, può garantire una presenza immersiva in questo luogo remoto”. Secondo Pucci, la seconda applicazione è quella più complicata da raggiungere: i sistemi Avatar possono essere visti come una protesica 2.0. “Pensiamo a persone che perdono un arto - afferma - e a un braccio robotico che lo sostituisce. Tutta- via ci sono dei casi in cui le disabilità mo- torie sono tali da impedire il movimento e quindi il recupero del corpo completo. Possiamo immaginare che gli Avatar del futuro saranno dislocati un po’ ovunque, anche in una pizzeria o in un ufficio pub- blico, e possano riabilitare le persone che hanno problemi di mobilità, in modo tale da essere reintegrati nella società e sul posto di lavoro”. La terza applicazione, più futuristica, è quella di un turismo del Daniele Pucci, responsabile Artificial and Mechanical Intelligence dell’Istituto Italiano di Tecnologia, e l’ingresso dell’IIT.

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