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Automazione e Strumentazione n Aprile 2024 Primo piano 21 SCENARI di sviluppo. Gli elettrolizzatori alcalini rappre- sentano una tecnologia matura e ampiamente utilizzata in molte applicazioni commerciali e industriali, soprattutto in grandi impianti e in applicazioni nell’ordine dei megawatt, dove sono in grado di operare in modo affidabile anche per 80.000 ore. Gli elettrolizzatori alcalini funzio- nano a basse temperature, da 30 °C a 100 °C, utilizzando prevalentemente elettroliti in solu- zione acquosa (KOH/NaOH con una concentra- zione del 20%-30%). I principali svantaggi degli elettrolizzatori alcalini sono l’efficienza rela- tivamente bassa, che negli impianti industriali può superare di poco il 65%, oltre al funziona- mento a bassa pressione e la bassa densità di cor- rente (meno di 400 mA/cm 2 ). Nelle operazioni, questo implica la necessità di grandi volumi di elettroliti, complicando logistica e trasporto, e una relativa lentezza nell’inseguire le fluttua- zioni dell’alimentazione elettrica. Gli elettrolizzatori a membrana a scambio ionico , i più comuni dei quali sono a scambio protonico, si basano su un elettrolita solido, solitamente di tipo polimerico, che è responsabile della condu- zione degli ioni, della separazione dei gas prodotti e dell’isolamento galvanico degli elettrodi. Questi tipi di elettrolizzatori sono più efficienti (80-90%) di quelli alcalini e producono un gas idrogeno più puro, ma sono anche più costosi. Gli elettrolizza- tori a membrana possono produrre idrogeno ad alte pressioni e funzionano con densità di corrente più elevate. Questo tipo di elettrolizzatori, special- mente quelli a scambio protonico (Pemel), hanno una risposta dinamica rapida e sono più adatti a inseguire le fluttuazioni tipiche delle fonti rinno- vabili, ma hanno un’aspettativa di vita inferiore agli alcalini e sono più onerosi anche da un punto di vista manutentivo. Gli elettrolizzatori a ossidi solidi (Soel, Solid Oxide Electrolysis) operano a temperature elevate, da 600 °C a 900 °C circa, producendo idrogeno a partire da acqua in forma di vapore e hanno un’efficienza elevata, che può arrivare al 90 %, grazie alla possibilità di sfruttare l’energia termica per la dissociazione di idrogeno e ossigeno. I Soel si basano su elettroliti ceramici a ossidi solidi a scambio di ossigeno e attualmente si trovano in un avanzato stadio di sviluppo, molto vicini ad applicazioni commerciali, ma non si pos- sono ancora considerare una tecnologia matura. Idrogeno al lavoro L’ecosistema dell’idrogeno non sarebbe completo se non ci fossero sistemi efficienti per riportare in forma elettrica la maggior parte dell’energia chimica accumulata. Dei sistemi particolarmente efficaci per ritrasformare l’idrogeno in energia elettrica sono le celle a combustibile , che possono funzionare con efficienze quasi doppie rispetto ai motori a combustione, convertendo l’energia chimica del carburante in energia elettrica con efficienze in grado di superare il 60%. Ottimi risultati si ottengono anche con l’utilizzo delle turbine a gas che, però, per impiegare idrogeno puro potrebbero richiedere delle modifiche o la riprogettazione dello stadio di combustione. Nei moderni impianti con turbine a gas a ciclo com- binato, dove il calore di scarico di una turbina a gas a ciclo Brayton ne può alimentare un’altra a ciclo Rankine, è possibile ottenere un’efficienza termica di circa il 55% e avvicinarsi al 60% delle celle a combustibile. In ultima analisi, ormai si può dire di essere pronti per creare una vera eco- nomia dell’idrogeno con diverse possibili scelte tecnologiche per ogni passo necessario. n Gli elettrolizzatori, che attualmente sono disponibili con diverse tecniche costruttive, consentono di produrre idrogeno su larga scala

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