dicembre 2012
29
La realtà e i risultati
In realtà come spesso accade la situa-
zione è assai più articolata e sfumata e
tutto sommato intermedia rispetto alle
posizioni sopra estremizzate. Innan-
zitutto va sottolineato che rispetto ad
altri Paesi europei l’industria italiana
ha aumentato le sue esportazioni del
6.4%
annuo nel decennio 2000-2010,
risultato certamente inferiore a quello
cinese (+ 20,3%) o a quello tedesco (+
8,7),
ma sicuramente migliore di Fran-
cia, Stati Uniti, Giappone, Regno Unito.
Questo ha consentito all’Italia di conte-
nere le perdite di quote di mercato in
Europa a poco più dell 1%: in sostanza
l’Italia resta l’ottavo Paese esportatore
a livello mondiale, il quarto in Europa
in termini di PIL e il secondo, dopo la
Germania, per produzione industriale.
In molti settori, soprattutto della mec-
canica, dopo la pesante contrazione
del 2009-2010, le imprese sono torna-
te nel 2011 a livelli di fatturato simili a
quelli precedenti, quasi esclusivamente
grazie alla domanda estera. L’industria
italiana continua ad assicurare il 20%
del valore aggiunto nazionale, livello
di poco inferiore a quello svedese (22)
e tedesco (25), ma superiore a quello
inglese (18) e soprattutto a quello fran-
cese (13).
L’occupazione
A fronte di questi risultati la situazio-
ne occupazionale risulta invece molto
grave, essenzialmente a causa della
perdita di potere di acquisto dei citta-
dini italiani e della caduta dei consumi
che ha portato alla chiusura di molte
attività produttive, soprattutto artigia-
nali, quasi esclusivamente orientate al
mercato interno dove la domanda non
accenna a riprendersi. In questa con-
giuntura negativa un ruolo negativo
è giocato dalla Pubblica Amministra-
zione che a causa dei tagli alla finanza
N
ell’attuale contesto politico
ed economico il comune cit-
tadino, lettore o video ascol-
tatore, non può che essere frastorna-
to da un complesso di notizie gene-
ralmente negative sull’andamento
dell’economia italiana e dell’industria
in particolare. Dopo mesi di focaliz-
zazione sull’andamento degli spread
oggi l’attenzione dei media è cata-
lizzata dai casi dell’Alcoa in Sardegna
e dell’Ilva di Taranto, nonché dalle
statistiche allarmanti sulla disoccu-
pazione (l’articolo è stato redatto lo
scorso ottobre ndr). In realtà arriva
alla ribalta mediatica un dibattito
che economisti e sociologi hanno
sviluppato da un decennio, almeno
dal 2003, quando apparve il famoso
libro di Luciano Gallino ‘
La scompar-
sa dell’Italia industriale’.
Mentre vi è una generale convergen-
za degli osservatori sulle cause di un
declino industriale dell’Italia (dimen-
sioni d’impresa troppo piccole, livelli
insufficienti di ricerca e innovazione,
costo del lavoro, eccesso di burocra-
zia, tassazione troppo elevata, livelli
diffusi di illegalità in vaste aree del
Paese ecc..) sulle prospettive le posi-
zioni sono molto differenziate. Alme-
no due tesi si sono contrapposte in
questi anni, seppur con varie sfuma-
ture: una pessimistica incentrata su
un irreversibile declino dell’industria
italiana (ma anche europea) oramai
incapace di reggere la concorrenza
dei Paesi emergenti verso cui si sta-
rebbe spostando il baricentro econo-
mico mondiale; una più ottimistica
che tende a enfatizzare la capacità di
tenuta del sistema delle PMI soprat-
tutto di quelle appartenenti ai settori
portanti del Made in Italy,
le famose 4
A (automazione e macchinari, agroa-
limentare, arredo-casa, abbigliamen-
to-moda).
Is there a future
for Italian industry?
A few ideas, solutions, interventions and strategies
geared towards reinvigorating the Italian industrial
fabric. The Italian industry is based on solid
foundations and it is still able to play a strategic role
in the country’s growth, on the understanding that…
In the current political and economical context, your
average citizen, reader or video watcher, can not
help but be bewildered by everything that’s being
written, usually negative, about the trend in the
Italian economy and industry in particular. After
months of focusing on the trend in spreads, media
attention is now catalysed by the cases of Alcoa
in Sardinia and Ilva in Taranto, as well as by the
alarming unemployment statistics (the article was
written back in October). In reality, in addition to the
media attack, there is also a debate that economists
and sociologists have been working on for a decade,
or at least since 2003, when the famous book by
Luciano Gallino entitled ‘La scomparsa dell’Italia
industriale/The disappearance of the Italian
industry’ came out.
Despite there being a general convergence by
observers towards the causes of the industrial decline
in Italy (companies that are too small, insufficient
levels of research and innovation, labour costs, too
much red tape, taxes that are too high, widespread
illegality in vast areas of the country, etc.) when
it comes to future prospects opinions vary a great
deal. There have been at least two contrasting theses
over the last few years, albeit with various slants:
one pessimistic, centred on an irreversible decline in
the Italian industry (but also European) which is
now unable to keep up with the competition from
emerging countries, which the world’s economic
barycentre would seem to be shifting towards; one
more optimistic, which tends to emphasises the
ability to uphold the system of small-/medium-sized
companies, especially those belonging to the main
Made in Italy’ sectors, otherwise known as the
famous 4 A (automation &machinery, agribusiness,
furnishings & the home, apparel & fashion).